Dicembre 3, 2024

Planetspin

Pesca in mare e acqua dolce

Eging’s anatomy 1; ” la vista dei cefalopodi”

Comprendere in che modo funziona la vista dei pesci, è un argomento che da sempre incuriosisce il pescatore moderno che vuole approfondire la sua conoscenza,

soprattutto allo scopo di sfruttare queste informazioni per le sue attività alieutiche.

I cefalopodi, il calamaro, la seppia e il polpo, hanno un apparato visivo molto particolare ed in questo articolo andremo a scoprire tante curiosità che difficilmente potremo trovare altrove, dedicandoci principalmente a questi invertebrati.

Sono stati realizzati già diversi articoli in merito a come cambia la percezione dei colori in base alle profondità, ma…

dal punto di vista puramente biologico, i cefalopodi ci vedono bene? Distinguono i colori? Come percepiscono il giorno dalla notte?

Ovviamente è d’obbligo premettere che nessuno oggi conosce la verità assoluta, ma ci si basa su ricerche scientifiche e analisi dei tessuti effettuate in laboratorio, poi confrontate con situazioni reali. In questo articolo riporteremo delle analisi effettuate da team di scienziati sia americani che giapponesi. Spesso si legge di articoli dove riportano che i calamari hanno una buona vista, ma gli occhi dei cefalopodi sono in parte diversi dagli occhi umani.

Test giapponesi hanno misurato che il livello più alto dell’acuità visiva è 1,2 – 1.5 decimi per i calamari. Per il loro genere questi valori sono elevatissimi, ovviamente non sono confrontabili con il genere umano. Il risultato è una vista acuta, ma solo dal punto di “posizione focalizzata”. Questo si riferisce alla capacità degli occhi del calamaro di distinguere le cose solo se a fuoco. Un calamaro vede e caccia un egi ed infine lo tocca con i suoi tentacoli, solo se si trova nel punto focale davanti a se, quindi in una posizione visibile per lui. In quel momento la vista del calamaro è al massimo.

In merito alla percezione dei colori, si sente dire spesso che i calamari non possono distinguere i colori, ma capiamo se è vero e soprattutto perché.

Per semplificare il concetto, partiamo da un confronto: l’occhio umano ha ispirato la creazione della macchina fotografica (l’obiettivo) dove le lenti degli occhi sono come le lenti della fotocamera e la retina è la pellicola. Tra le cellule della retina, ci sono quelle che funzionano in luoghi luminosi e altre cellule che funzionano in posti con poca luce. Se vai velocemente da un luogo illuminato ad uno privo di luce, temporaneamente non vedi niente, ma gradualmente sei in condizioni di vedere.
Questo perché ci sono questi due tipi di cellule nella retina: “cellule a coni” che funzionano nei posti illuminati e “cellule a bastoncello” che funzionano nei posti privi di luce. Le cellule a coni, si attivano nei luoghi luminosi e sono coinvolti nella discriminazione del colore. Le cellule a bastoncello si attivano nell’oscurità, sono coinvolte nella sensibilità del bianco e del nero.

Ora viene la parte un po’ più complessa. Le proteine contengono al loro interno cellule fotorecettori.
Il tipo di proteina sensibile al colore nelle “cellule a coni” che distingue i colori, dipende dall’animale. Ci sono anche proteine che individuano i raggi UV, ma gli esseri umani non le hanno. Inoltre nelle “cellule a bastoncello” c’è una proteina rappresentativa la “rodopsina”. Essa permette la vista in bianco e nero. La capacità visiva dipende da quale di queste proteine possiede, quindi esaminando le proteine, saremo in grado di stabilire quali colori possono o non possono vedere i calamari o i cefalopodi in genere. In aggiunta se noi esaminiamo questa proteina, possiamo collegarlo a un area dell’oceano e a che profondità abita l’organismo nel mare.
L’uomo può distinguere tra il rosso e i colori blu e verde. Combinandoli tra di loro, possiamo distinguere i colori in luoghi luminosi. Anche noi abbiamo la rodopsina, cosi possiamo distinguere anche il bianco e il nero. Questa foto mostra un fondale a -40 metri.

E’ un po’ buio ed è difficile vedere. Ma l’essere umano può distinguere i colori, come puoi vedere le alghe marine, le rocce, il relitto. Al contrario, ecco la tavola dei colori percepita dai cefalopodi.

Di conseguenza noi vediamo che esiste solo la rodopsina.
Questo significa che i calamari non possono distinguere tra il rosso, il blu il verde ecc., perché non c’è la proteina che permette di distinguere i colori. Così noi possiamo concludere che essi possono distinguere solo il bianco e il nero. Questo è l’aspetto che dovrebbe avere la vista del calamaro di cui sto parlando.
Quasi sicuramente il calamaro vive in un mondo bianco e nero.

Da un punto di vista scientifico possiamo spiegarlo fino a un certo punto come mai si siano evoluti in tal senso, ma più avanti azzardiamo un’ipotesi. Prendiamo questi fotogrammi sott’acqua. L’immagine a colori è quello che noi vediamo. L’immagine in bianco e nero è quella che possono vedere (di giorno) i calamari.

Inevitabilmente, l’intensità della luce nell’acqua diminuisce con l’aumentare della profondità. Più un egi affonda, più il colore va perdendosi.

Sebbene il rivestimento di questo egi sia di un colore rosa acceso, in profondità il colore svanisce, ma anche il colore delle alghe era verde, il colore è cambiato in grigio.
I colori si perdono poco a poco, all’aumentare della profondità. La differenza dei chiaro scuri dei colori dell’egi è ideale per i calamari che vivono in mare.
Potrebbe sorgere allora una domanda: come mai ci sono un gran numero di colori di Egi nei negozi se poi più in profondità essi affondano, più i colori si perdono?
Tecnicamente è un osservazione corretta, ma i colori degli egi sono visibili in terra, ma non sono la stessa cosa sott’acqua. La struttura degli occhi dei calamari è diversa dalla nostra. Lo stesso colore può apparire diverso a noi e al calamaro. Possiamo domandarci come mai i calamari hanno abbandonato la necessità di discriminare i colori e si specializzano nell’essere capaci di percepire chiari e scuri. I colori sono impoveriti nell’acqua con poca luce, si sono specializzati nel saper percepire chiari e scuri. Tutto questo lo immaginiamo come un processo di evoluzione e adattamento.

Questa immagine rappresenta una situazione in mare come la può vedere un calamaro di notte.

Abbiamo cambiato l’immagine in bianco e nero, per poter capire che i calamari non possono discriminare i colori. Quindi vediamo un rivestimento a macchie, ovvio. Gli egi che hanno molti chiari e scuri sono ben visibili ai calamari. Quando gli egi si muovono e si trovano nel campo visivo del calamaro, essi possono inoltre riconoscere che qualcosa si sta muovendo.
Non solo i colori, ma anche il rivestimento ha una grande influenza su ciò che può vedere il calamaro. I calamari possono vedere la differenza dei chiari scuri dei colori tra il motivo (disegno) e il colore del tessuto o della base.

Per fare una prova si potrà prendere l’immagine del vostro egi preferito e guardala in bianco e nero.

E’ allo stesso modo importante conoscere il posto dove generalmente andate a pescare perché cambia il contrasto cromatico, diverso da situazione a situazione. Per esempio se il fondale è roccioso, sabbioso o con alghe. Il fondale non è sempre un bianco pulito (chiaro).
Abbiamo bisogno di immaginare il posto dove noi generalmente peschiamo o l’orario in cui andiamo a pescare. Per esempio di notte, una zona rocciosa in pieno giorno, un’area con le alghe al mattino e così via. I calamari si presume non possono vedere i colori, ma possono vedere la luce, anzi la percepiscono piuttosto che vederla. Il tipo di fondale e la luce che penetra in mare che sia di giorno o di notte, giocano un ruolo fondamentale di contrasto anche per gli egi di colore unico.
Veniamo ora al discorso del mimetismo di certi cefalopodi associato al comportamento dei cromatofori.

La maggior parte delle specie della classe dei cefalopodi presenta sulla propria pelle dei cromatofori

cellule che contengono granuli di pigmenti, che contraendosi ed espandendosi per effetto di impulsi inviati dal sistema nervoso producono variazioni di colore, soprattutto per motivi mimetici, protettivi e comunicativi.

Desmond Ramirez e Todd Oakley dell’ University Of California (Santa Barbara, USA) hanno studiato come, in particolare i polpi, raccolgano informazioni sull’ambiente circostanze attraverso i loro occhi.

Analizzando la pelle di alcuni calamari e polpi, hanno scoperto come la pelle di questi cefalopodi reagisce alla luce senza alcun tipo di stimolo da parte del cervello o degli occhi. Hanno raccolto varie biopsie sulla pelle di una specie di polpo in particolare: lì octopus bimaculoides.
Essi colpivano il tessuto con una luce bianca ed erano impressionati dal fatto che quando questo veniva colpito dalla luce, i cromatofori si contraevano cambiando il colore della pelle e si rilassavano quando invece la luce veniva spenta, ritornando alla tonalità iniziale.
Allora, hanno verificato l’effettiva lunghezza d’onda utile ai cromatofori per espandersi e così cambiare il colore della pelle da viola ad arancione, ottenendo un valore di 480nm, che è pari alla lunghezza d’onda che permette di percepire il blu-azzurro, colore a cui l’occhio dei cefalopodi risponde in maniera più forte.
Ciò ha rivelato una certa sensibilità della pelle in relazione a lunghezze d’onda differenti; i ricercatori hanno chiamato il sistema dei cefalopodi per calcolare l’intensità della luce Light Activated Chromatophore Expansion (LACE).
Hanno riscontrato che la causa principale di questo fenomeno è da ricercarsi nella presenza di rodopsine, proteine appartenenti alla famiglia delle opsine, solitamente prodotte nell’occhio e sensibili alla luce. Nei cromatofori infatti, sembrano manifestarsi gli stessi meccanismi che avvengono negli occhi. Altri ricercatori dell’University Of Maryland (Alexandra Kingston, Tom Cronin e R. Hanlon) hanno riscontrato le stesse presenze nei cromatofori di altre specie di calamari e seppie.

Il risultato finale di questi studi, rende possibile che nei cefalopodi ci siano alcune strutture comuni all’occhio umano

in quanto si dimostra una risposta comportamentale simile ad alcuni stimoli, come ad esempio la fotosensibilità.

Capire in che modo sfruttare queste informazioni per essere maggiormente efficaci nelle nostre uscite, necessita comunque di tanta pratica in pesca, conoscenza dei posti e abitudini comportamentali dei cefalopodi. Alcune colorazioni, pigmentazioni e rivestimenti che funzionano in alcuni spot e con alcuni condizioni di luce della giornata, potrebbero non essere allo stesso modo efficaci in altri posti di pesca, variandone di attrattività durante i diversi orari del giorno/notte. Ogni buon pescatore di eging sa di dover avere una variegata scelta di colorazioni dell’esca artificiale e sostituirlo spesso durante la battuta in caso di diversi lanci senza attacchi o catture.

Articolo realizzato da cura di Paolo Gavazzeni e Luigi Del Pizzo, un saluto a tutti gli amici di PLANETSPIN!