Marzo 19, 2024

Planetspin

Pesca in mare e acqua dolce

Come costruisco un NEEDLE FISH, autocostruzione di Moreno Bartoli

Oggi sulle pagine di PLANETSPIN riceviamo e pubblichiamo un articolo scritto da Moreno Bartoli.

Moreno è un veterano della pesca a spinning in Italia. Un pioniere, un custode della conoscenza alieutica di questa nicchia di pescatori insulari e peninsulari, quali siamo.
Prima di lui c’erano pochi pescatori che utilizzavano le esche artificiali e se tanti di noi, oggi, siamo arrivati a conoscenza di questa tecnica, in qualche modo è anche grazie alla sua condivisione di informazioni, alle sue scoperte e al suo ingegno.
Una delle sue creazioni più efficaci e che ho avuto modo di provare è la sibilla (altre info qui), che ha avuto molta rilevanza in termini di catture.


La forma dell’esca che vediamo in questa jpg sopra, può essere considerata l’antenata di molti needle che vediamo in circolazione oggi, prodotta sia dalle grande aziende, che da autocostruttori artigianali. Molti si sono ispirati ai metodi di costruzione di Moreno, che con il suo “STILETTO”, il nome dell’esca in foto, ha invogliato molti di noi, sia nella produzione che nell’utilizzo.

Lascio la parola al “maestro”.

Ci sono molte, troppe varietà di esche artificiali che i surfcasters usano quando insidiano i pelagici da riva e/o dalla barca.
(Moreno, utilizza la parola surfcasters per indicare i pescatori a spinning in mare. E’un termine di origine americana, come le esche di cui parliamo in questo articolo. Siamo abituati a definire surfcasters, coloro che praticano la tecnica di pesca surfcasting, dove si utilizzano esche naturali. L’analogia con questi ultimi sono l’utilizzo di canne più lunghe, per fronteggiare adeguatamente situazioni di onda importante e prede di grande mole).

Tutte le esche di superficie, poppers, wtd, minnows, ondulanti, darters, skipping lures, ecc., tutte hanno successo quando sono utilizzate in tempi e luoghi giusti e nelle giuste condizioni.

La maggior parte degli artificiali devono possedere un nuoto seducente che cattura, prima i pescatori, e poi i pesci.

Da sempre, in spiaggia e/o in scogliera, se un artificiale non “nuota bene”, non “nuota come deve”, è sostituito subito, posto nella cassetta delle esche, e resta lì, dimenticato, ad arrugginire.

Non sfuggì a questo destino anche un artificiale che fece la sua comparsa alla fine degli anni ’50 (prodotto inizialmente da Boone, poi anche da Classic e Linesider). Può essere meglio descritto come un semplice tondino di legno, di una ventina di centimetri, variamente dipinto che fende l’acqua, formando una “V”, come fosse un lapis o una matita con l’aggiunta di due (o tre) ancorette. Fu quella apparente “mancanza di movimento” che, inizialmente, fece allontanare molti serfcasters. Allo stesso tempo, alcuni anglers che… “avevano capito”, stavano tranquillamente collezionando incredibili catture da primato, di spigole, lecce, barracuda, serra, tunnidi e fu’ solo all’inizio degli anni ’80 che quell’artificiale iniziò a divenire popolare lungo tutta la costa nord-est dal New Jersey a Cape Cod.

Uno dei primi costruttori di questo “strano” artificiale fu Donny Musso di Long Island,

orprietario della Super Strike Lures. Dal 1983 Donny perfezionò quello strano plug con prototipi in legno e poi, nel 1984, in plastica dando vita così al famoso Needlefish.
Oggi tutti i costruttori di esche artificiali hanno, nel loro catalogo, almeno un modello di Needlefish. Anche nel mondo dell’Autocostruzione questo modello va per la maggiore poiché, non avendo nessuna paletta direzionale, è facilissimo da far nuotare…anzi direi che …nuota da sé. E’ sufficiente un qualsiasi recupero e il Needlefish “nuota” bene. Anche i bambini alla prima esperienza lo sanno far entrare in pesca.

Molti amici mi scrivono chiedendo, con insistenza, di trattare in modo più approfondito alcune tecniche costruttive realizzate con l’ausilio del tornio a legno. L’uso del tornio diviene insostituibile soprattutto quando si deve lavorare con legni duri e di grosse dimensioni, per realizzare artificiali da lanciare nei mari tropicali ma non solo, perché, adesso, anche nel Mare Nostrum, cominciano a vedersi le cosiddette “Big Baits”: poppers, sigari, manganelli, needlefish realizzati con sorprendente velocità. La facilità con cui, al tornio, si dà vita a questi artificiali non trova conferma nelle successive fasi di lavorazione, quando, per esempio, dobbiamo realizzare le armature. Qui cominciano i problemi. Esistono almeno tre o quattro modi per mettere l’acciaio dentro il corpo di un’esca di legno. Esiste il modo classico che è quello di creare una fessura ventrale dove inserire il filo d’acciaio, ma fare a mano questo lavoro spaventa la maggior parte degli autocostruttori, senza contare la successiva stuccatura e carteggiatura (non dimentichiamo che stiamo parlando di Big Lures). Esiste il metodo di avvitare delle viti ad occhiello confidando che i legni duri utilizzati siano veramente…duri. Non affiderei mai le sorti di una cattura da record alla tenuta di una o due viti. Troppo spesso ho visto moncherini di artificiali penzolare all’estremità della lenza, mentre l’altra metà dell’esca se ne andava via nella bocca di un pesce. Esiste, poi, il terzo modo, tipico di moltissimi artificiali americani; quello del…“buco passante”. E’ proprio quest’ultimo sistema che descriverò nelle sue fasi costruttive.

COSA OCCORRE
E’ consigliabile, prima di cominciare la costruzione, preparare gli utensili e tutto il materiale necessario. Prendete l’abitudine di annotare misure, pesi, modifiche. Gli utensili: pinze a becchi tondi, tronchesine, morsa da banco, trapano Dremel, frese, aerografo, pennelli, martello, trapano, punta a legno, tornio a legno, scalpelli, sgorbie, raspa, seghetto a ferro. I materiali: carta abrasiva, lana d’acciaio, filo d’acciaio inox, sfera di piombo, girella, colori a smalto, colla cianoacrilica, stucco epossidico bicomponente (usato dai marmisti), vernice finale.

Fig.1 Affrontiamo subito il problema principale. Dobbiamo praticare un foro passante nel senso della lunghezza dell’artificiale. Il foro deve essere perfettamente al centro. Fare un foro al centro di una superficie tonda, quadrata, o rettangolare è facilissimo: si disegnano due raggi perpendicolari oppure le diagonali e i loro punti d’incontro sono il centro che cerchiamo. Il difficile è riuscire a fare perfettamente al centro il foro d’uscita, dalla parte opposta; soprattutto se il nostro artificiale supera i 20cm. A mano libera è praticamente impossibile. Potremmo utilizzare un trapano a colonna; ma quanto dovrebbe essere alta questa colonna? Dovremmo considerare la lunghezza del trapano (40cm.) più la lunghezza della punta (25cm.) più la lunghezza del legno (22cm.) per un totale approssimato di 90 – 100cm. Avete una colonna alta un metro? Beati voi. Si potrebbe sempre ripiegare su di un marchingegno che si sviluppa in orizzontale, autocostruito, col trapano fissato da una parte e dall’altra un binario su cui scorre il legno, o viceversa. Soluzione di difficile applicazione. A questo punto molti avranno già abbandonato l’idea dell’armatura col foro passante.
Una soluzione invece c’è, ed è semplice, veloce, sicura. Ipotizziamo che il diametro del nostro popper sia 2,5cm. per una lunghezza di 20cm. Scegliamo un pezzo di legno con le misure molto più grandi (per esempio: lunghezza 22cm., fissa. Le altre dimensioni: 4cm. x 6cm., 6cm. x 6cm. cioè devono essere abbondanti). Il legno è fissato ad una morsa da banco. Ad un’estremità pratichiamo il foro d’ingresso che sarà, come detto prima, perfettamente centrato. Sul trapano abbiamo inserito una punta lunga 25cm., diametro 6mm. Usiamo il trapano a mano libera, cercando il più possibile di procedere tenendolo in asse col pezzo di legno. Affondiamo la punta lentamente e fermiamoci spesso. Cerchiamo di avere sempre la sensazione di avanzare “dritti”.


Fig.2 Dopo lunghi e interminabili 22cm. la punta del trapano passerà dall’altra parte. Difficilmente sarà nel centro. Vedrete che qualche millimetro se l’è preso, a destra o a sinistra, in alto o in basso. Ma non ci preoccupiamo di questo bensì con una raspa arrotondiamo i quattro spigoli in modo da ottenere una sezione rozzamente circolare.


Fig.3 Mettiamo il pezzo sul tornio. Troveremo il giusto centraggio sistemando sia la punta che la contropunta esattamente sui fori d’invito fatti poco prima. Ripeto, per tranquillizzarvi, che in questa fase non è importante che il pezzo risulti in asse: solo i due fori lo devono essere. Serriamo bene tutti gli elementi. Fissiamo la slitta del poggiautensili orizzontale e parallela all’asse del tornio e controlliamo che il pezzo giri liberamente. Ci accorgeremo che, poiché il foro d’uscita risultava leggermente spostato, il legno ruoterà come se fosse fuori asse. Tutto questo sarà normale. Cominciamo a lavorare con la sgorbia a sgrossare. Poniamola sulla slitta con un angolo di 30° rispetto all’asse del pezzo in modo che il legno sfiori appena la lama. Questa inizierà ad incidere il legno in rotazione e noi sposteremo ripetutamente la sgorbia lungo il poggiautensili da sinistra a destra e viceversa. I punti fuori asse saranno i primi ad essere torniti e lentamente tutto il pezzo diventerà di forma perfettamente cilindrica e vi accorgerete, solo adesso, che il foro passante all’interno è (finalmente!) centrato.


Fig.4 – 5. Lasciamo un centimetro per parte (per sicurezza) e iniziamo a modellare il nostro artificiale riducendo, dove occorre il diametro. Interrompiamo la tornitura molto spesso per misurare con un calibro le dimensioni desiderate.


Fig.6. L’ultima parte di lavoro al tornio la eseguiremo con la carta abrasiva per rendere la superficie molto levigata. Usiamo carte a grana molto fine e lavoriamo senza fretta. Ricordatevi che durante tutto il periodo che lavorate al tornio è necessario usare una mascherina antipolvere e un paio d’occhiali protettivi.


Fig.7. Togliamo il pezzo dal tornio. Eliminiamo le estremità con un seghetto a ferro. Fissiamo il pezzo sulla morsa da banco e con una fresa sferica realizziamo una concavità adatta a ricevere un piombo a sfera del diametro di circa 1cm.: sarà la zavorra del nostro artificiale.


Fig.8. Pratichiamo un foro (diametro 5mm.) nella parte ventrale con una piccola fresa e il trapano Dremel. Dobbiamo raggiungere il foro passante fatto all’inizio. Qui sarà sistemata una robusta girella per il fissaggio dell’ancoretta e/o amo ventrale.


Fig.9 – 10. Per completare l’armatura interna prepariamo il filo d’acciaio (diametro 1,2mm., lunghezza 10 cm. in più rispetto alla lunghezza dell’artificiale)), il piombo sferico (10 gr.),la girella, due rivetti protettivi. Dopo aver fatto un anello aperto, ad una estremità del filo d’acciaio, corrispondente alla parte anteriore, lo inseriamo in un rivetto poi nel buco passante e ci fermiamo con l’altra estremità all’altezza dei foro ventrale. Qui, posto il secondo rivetto, inseriamo la girella e, se siamo fortunati, con pochi tentativi, riusciamo ad infilare il filo all’interno di un suo occhiello facendolo uscire, infine, dalla parte posteriore. Inseriamo il piombo a sfera e lo incolliamo. Aiutandoci con pinze a becchi tondi e con la morsa da banco realizziamo un anello chiuso. Con il trapano Dremel e la fresa n°932 realizziamo gli occhi tridimensionali.



Fig.11. Diamo due mani d’impregnante, una mano di smalto all’acqua bianco e una seconda di giallo, tutte per immersione. Con l’aerografo disegniamo la livrea scelta, mettiamo la firma, due mani di vernice finale e il nostro “Needlefish” è pronto.

Un ringraziamento particolare a Moreno Bartoli, vi lascio il link alla sua pagina facebook per eventuali contatti (clicca qui)