In questi ultimi anni si è vista un crescita e uno sviluppo costante della disciplina della Trout Area anche in Italia oltre che la sua patria, il Giappone.
Tuttavia, nel nostro paese, ci sembra di stare assistendo ad una profonda differenza tra Nord, Centro e Sud. Proprio per quest’ultima zona, dopo alcuni cenni di vita iniziali, si è vista una logorante ascesa verso il disfacimento di ciò che si tentava di creare.
In questo articolo, cercheremo di analizzare brevemente le cause di questo insuccesso, dopo aver valutato anche il punto di vista degli addetti ai lavori del settore (gestori impianti sportivi e commercianti attrezzature da pesca), oltre che degli appassionati pescatori. Ma facciamo un passo indietro… cercando di far comprendere di cosa stiamo parlando anche a chi non conosce bene la materia.
La disciplina del trout area impone il rilascio immediato della cattura e una grande attenzione verso il benessere della trota.
Si utilizzano attrezzature adeguate per evitare che il pesce vada in sofferenza, come per esempio esche artificiali con ami senza ardiglione e guadini a reti larghe per permettere di salpare e rilasciare il pesce in sicurezza, senza danneggiare il muco protettivo che lo preserva dalle malattie e dai batteri.
La TROUT AREA si basa sugli eventi, le competizioni e gli allenamenti dei garisti.
Domenica 26 settembre, si è svolto il campionato nazionale di trout area a Teramo. Vi hanno partecipato oltre 100 tra i più bravi pescatori di questa specialità. Si è visto un grande livello tecnico, il tutto nel rispetto delle regole imposte dalla lotta al COVID e con un clima goliardico e amichevole davvero eccezionale.
C’erano davvero tanti pescatori ma facendo un sondaggio, notavo tanti provenienti dal nord, tanti dal centro e pochissimi dal sud.
Praticamente la trout area si ferma a Benevento dove
i ragazzi dell’ ASD PROSPIN sono gli ultimi in ordine territoriale a dedicarsi a questa disciplina,
dopodichè praticamente c’è un vuoto, ma analizziamo le motivazioni. Anche questo è il motivo per cui ho deciso di intitolare questo articolo con un tono acceso verso il territorio.
Assenza di impianti sportivi dedicati, difficoltà di acquisto delle attrezzature nei negozi locali, ma principalmente la diversa cultura “sportiva” del pescatore, sono le principali cause per cui non si riesce a far sviluppare al sud la trout area.
I LAGHI DI PESCA SPORTIVA
Mentre al nord e al centro Italia, si è cercato di dare una seconda vita ai laghetti artificiali ormai quasi abbandonati dopo il boom degli anni ’70, attrezzandosi e specializzandosi con tutto ciò che serve per permettere di praticare questa tecnica,
scendendo verso sud si avverte un totale disinteresse dei gestori verso una scelta imprenditoriale diversa da quella attuale.
Parliamo di poche strutture, quasi tutte di piccola grandezza, spesso a gestione familiare, che prevedono l’immissione di quantitativi di trote in relazione alla presenza dei pescatori durante la sessione di pesca. Non si tratta di trout area, ma è un semplice lago a cattura.
Più che laghi di pesca sportiva, tutto gira intorno al pesce, alla vendita di trote e agli introiti che ne hanno i gestori. Immettendo un quantitativo di trote e farle diventare stanziali, interromperebbe questo ciclo e quindi varierebbe il business della compravendita, agendo sul prezzo del pesce.
GLI SHOP LOCALI
Un altro capitolo importante è l’assenza nei negozi locali (dal Lazio/Molise in giù) di attrezzatura specializzata per questa disciplina. Giustamente i commercianti hanno difficoltà a vendere questi prodotti perchè non ci sono laghetti dove praticare.
E’ un pò la storia del cane che si morde la coda…
Tuttavia oggi giorno con lo shopping online, i mercatini e l’usato sui social, ci si mette davvero poco ad attrezzarsi, ma non tutti sono capaci di farlo e avere un’alternativa valida nel negozio sotto casa ha sempre una grande importanza.
IL PUNTO DI VISTA DEL PESCATORE
E’ pur vero che a dare il colpo fatale c’è la mentalità retrograda del pescatore che frequenta questi laghi, che deve per forza portare qualcosa a casa… non esiste il rilascio dopo aver pagato la quota della sessione di pesca.
Personalmente ho assistito alla scena di un pescatore curioso che si è avvicinato a noi durante una competizione di trout area…
non vi dico la sua faccia dopo aver visto che rilasciavamo i pesci.
E allora che fare?
Il punto di partenza sta nel creare un progetto di ampie vedute. Secondo me, primi ad attivarsi devono essere i gestori dei laghetti, creando uno spazio o delle giornate, dedicate esclusivamente a questa tecnica.
Un passo alla volta per far conoscere e comprendere una tecnica che è anche una filosofia di pesca,
una disciplina completa che appaga il pescatore e mette al centro dell’azione l’amore e la passione verso questo sport.
In questo modo il pescatore avrà imparato una cosa nuova e il gestore, potrà farsi i suoi bravi conti e capire il tornaconto reale di tale progetto.
Qualcosa che vada oltre la trota portata a casa, il prosciutto o il caciocavallo della garetta domenicale…
Sia chiaro che non ho nulla contro chi organizza o partecipa a eventi simili, ma se nessuno ha mai proposto e provato un’alternativa, non ci sarà mai modo di capire e sondare nuove opportunità.
Un saluto a tutti gli amici di PLANETSPIN!
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